Fare un pagliaio è compiere un gesto antico che affonda le sue radici in una tradizione contadina ormai lontana nel tempo. Per me è un gesto pieno di significato che mi fa fare un tuffo dentro ai racconti dei miei vicini e soprattutto a quelli di M.
Fare un pagliaio è ridare vita a una tradizione che ci lega alla terra, una sapienza che appartiene ormai a pochi contadini e che rischia di scomparire, qualcosa che non voglio vada perduto, un tesoro che ho la fortuna di poter toccare con mano ogni giorno e che voglio condividere con voi.
Fare un pagliaio è una gioia anche solo per il gusto di farlo insieme alle persone che amo, insieme alle mie bimbe. Un momento di cooperazione e di condivisione e soprattutto di felicità.
Fare un pagliaio solo per vedere gli occhi di M. brillare di gioia, per riportarlo indietro di 70 anni, per vedere con quanto entusiasmo e passione le sue mani nodose e consumate dalla fatica si muovono ancora tra la paglia, con una sapienza e una maestria da fare invidia.
Fare un pagliaio per far vivere alle mie bimbe un’esperienza unica, irripetibile, che spero si ricorderanno quando saranno grandi con tanta gioia.
Che fortuna lavorare accanto a persone di un’autenticità e semplicità straordinarie, persone generose nel voler trasmettere e condividere la loro esperienza.
Fare un pagliaio anche solo per ascoltare i racconti di M. e i suoi tanti ricordi.
Ecco qui il suo racconto:
I pagliai si facevano in luglio mentre si trebbiava il fieno. C’era bisogno di tanti uomini, i vicini si aiutavano a vicenda cooperando insieme. Per prima cosa bisognava piantare un palo lungo e dritto come quello dei telefoni. Il legno del palo era maggiormente di castagno, il legno più dritto e resistente. Il legno di castagno ce l’aveva Montorio, oppure lo trovavamo sulla strada per andare ad Acquapendente. Per piantare il palo bisognava fare un buco nel tufo con una paletta di ferro, abbastanza profondo se no non reggeva. Una volta piantato il palo, chiamato stollo, si iniziava a impilare il fieno o la paglia. Due o tre uomini stavano sopra al pagliaio e due o tre uomini portavano il fieno o la paglia. Mano a mano che si metteva la paglia si spandeva con il forcone con i denti di legno o di ferro. Bisognava sparpagliarla allo stesso modo in cui le galline raspano nel terreno, perché non doveva stare tutta attaccata se no non si collegava. Il fieno o la paglia dovevano intrecciarsi, come una tela. Più si saliva sù di altezza e più il pagliaio si restringeva, da ultimo diventava talmente alto e ristretto che ci poteva stare solo un uomo che poi scendeva con una scala altissima. Una volta finito il pagliaio l’uomo che stava sopra rastrellava via tutta la paglia in eccesso con delle frasche di nocchio (nocciolo) e gli uomini di sotto anche loro sempre con le frasche di nocchio toglievano la paglia in più. Per fare bene un pagliaio la parte in mezzo deve essere ben compatta, solo così era impermeabile e il fieno e la paglia si mantenevano bene.
D’inverno il pagliaio faceva il muschio come sugli alberi. Noi facevamo 4 o 5 pagliai all’anno e una decina di fieno. Quando avevamo bisogno della paglia la tagliavamo con il tagliafieno, prima si consumava un giro del pagliaio e diventava tutto dritto e poi si prendeva la paglia al centro che era più dura. Quindi c’erano 2 tipi di tagliafieno, uno per la paglia più morbida e uno per la paglia più dura. Il pagliaio durava un anno, fino al luglio successivo più o meno, qualche anno nemmeno ci arrivava e dovevamo andarla a prendere nella valle giù di Montorio, dove c’è la voliera. La paglia si consumava tanto per le mucche, i maiali, le pecore, le galline e i tacchini. Si usava come giaciglio per farli dormire, d’inverno anche come cibo per le pecore, la mangiavano dentro le grotte, nelle rastrelliere.
La paglia che usavamo era principalmente di grano e di orzo. La paglia di segale, più resistente, veniva usata per i giacigli dei maiali, perché i maiali la tritano tutta e la fanno diventare molto fine. La segale la coltivavamo perché il seme lo mangiano gli agnelli e i maialini. Bisogna fare bollire un po’ i semi e poi si aggiunge una parte di farina di castagne o di farina di orzo. L’acqua di orzo la davano da bere anche ai bambini. Facevano bollire l’orzo pulito per bene, quando partiva il bollore toglievano l’acqua perché era sporca, ne aggiungevano dell’altra e la rifacevano bollire, mettevano lo zucchero e la davano ai bambini. Era colore dell’oro, la davano anche ai bimbi allattati. La paglia aveva molto valore a quei tempi, la carta che usavano nei negozi era fatta con la paglia.
0 risposte
Pagliaio pieno di poesia…..un grosso abbraccio a te e dai un bacione a M. da parte mia!!!!!
Grazie Cecilia ! Sarà fatto 😉
Meraviglioso!! Lo farò vedere a mio marito che vuole imparare!
grazie e complimenti, per tutto!
Francesca passionedeco
Grazie Francesca e benvenuta 😉