Ormai ci siamo. E’ Dicembre e inizia il conto alla rovescia per Natale. Come tutti gli anni qui a casa nostra inizia il fermento per i preparativi: le decorazioni, le lucine, le candele, l’albero, il presepe.
Che emozione tirar fuori dagli scatoloni il nostro albero, che ormai ha qualche anno. Sì, dopo aver visto fallire miseramente svariati tentativi di comprarne uno vero e poi piantarlo in terra nel nostro giardino, abbiamo optato per un albero finto che ogni anno montiamo e smontiamo. Su ogni ramo poi mettiamo un pezzo della nostra vita, della nostra storia, un pezzo del nostro cuore. Ogni decorazione è legata a un ricordo, a un momento nella vita delle bimbe e della nostra famiglia. Una decorazione fatta tutti insieme con la pasta di sale o con la cartapesta, un lavoretto dell’asilo o della scuola, un regalo di un parente o di un caro amico. Che bello ogni anno ritrovarle tutte, queste decorazioni, e aggiungerne di nuove.
Esageriamo talmente tanto con le luci e con le decorazioni che le vedono anche i nostri vicini, (che poi tanto vicini non sono, ormai lo sapete) la cui età media è di 80 anni, e che ne restano stupiti, sorpresi. Perché per loro sono una novità, qualcosa che non conoscono. Perché i Natali della loro infanzia nei poderi della campagna maremmana erano diversi, molto diversi.
Ecco cosa mi ha raccontato M., il mio racconta-storie preferito.
Natale ? Per noi bambini a Natale non c’erano né regali, né giochi. Come facevano i miei genitori, eravamo un branco di figli, nove, e soldi non ce n’erano.
L’unica cosa che ci regalava mio padre era un piccolo panforte, il torrone o i fichi secchi. Questi erano i nostri unici regali, niente più.
Qui l’unica tradizione per i bambini a Natale era il Ceppo di Natale. Un ciocco grosso che doveva avere un buco o almeno un’impronta di un buco, insomma non doveva essere schietto (integro). Il Ceppo di Natale veniva messo a bruciare nel grande camino al centro di ogni podere e doveva durare da Natale fino al Nuovo Anno. Per questo motivo di notte si copriva con un po’ di brace e di mattina si riscopriva, così durava di più. Era talmente pesante, un quintale circa, che si portava sù in casa con una barella, in più persone. A noi bambini dicevano che dovevamo dargli da mangiare. Così la sera a cena gli lasciavamo in un piattino un piccolo avanzo che il Ceppo avrebbe mangiato di notte, quando nessuno lo guardava. Ma io lo so che il Ceppo non mangiava proprio niente, erano i gatti che si mangiavano gli avanzi, li rubavano di notte e di mattina li trovavamo tutti bruciacchiati perché si erano avvicinati troppo al fuoco per mangiare e per scaldarsi. La notte di Natale si andava tutti alla messa alla chiesa di Castell’Ottieri (un paesino a circa 4 km da qui), andavamo a piedi al buio. Si partiva in 2 o 3 e poi a mano a mano si univano le persone dei poderi vicini, quando arrivavamo eravamo in una trentina.
Facevamo una vita semplice, non come ora, e noi bambini avevamo poco o niente. Ma per il mangiare era meglio prima, si mangiava meglio prima che ora. La vigilia si mangiava di magro, niente carne, solo pesce e per il giorno di Natale, le donne preparavano dei pranzi da leccarsi i baffi, anche chi non ce li ha !!
Me li sono fatta raccontare i menù della vigilia e del Natale, da M. e da altre mie vicine, e solo a sentirli descrivere mi è venuta l’aquolina in bocca !! Nei prossimi giorni ve ne parlerò qui….
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